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Al mio arrivo in Ecuador non sapevo davvero che cosa aspettarmi; conoscevo un po’ questo paese sudamericano attraverso i miei studi universitari a riguardo, ma oltre a questo nessuna conoscenza diretta. Già lungo la strada dall’aeroporto a Carcelén Bajo, ho ricevuto il primo colpo allo stomaco vedendo l’estrema disparità che emerge dal cambiamento nel paesaggio urbano una volta che si passa dalle zone più ricche a quelle più povere; i ricchi vivono in quartieri fortificati, con mura di cinta, torrette e guardie armate, mentre i poveri abitano in quartieri con case in mattoni vivi ed è già tanto il fatto che abbiano l’allacciamento a luce e acqua.
Durante la settimana ero dalle 9 alle 17 in biblioteca, visto che la mia permanenza in Ecuador era a fini di ricerca per la mia tesi specialistica, ma una volta tornato a casa non vedevo l’ora di fare un salto nella casa famiglia di fianco alla casa parrocchiale. Vedere i bambini sorridere e divertirsi mentre si giocava con loro era una cosa impagabile, soprattutto conoscendo le loro problematiche; era come portare un tocco di normalità nelle loro vite, e in questo senso quei sorrisi erano la vittoria più grande ed appagante del mondo.
Durante la mia permanenza in Ecuador ho cercato di conoscere le varie situazioni in cui vivono gli strati più bassi della popolazione della Sierra e della Costa, arrivando a vedere anche persone vivere in condizioni che rasentano il limite della sopravvivenza.
La cosa che più mi ha segnato è stata vedere la felicità negli occhi dei bambini della casa famiglia nel momento in cui ricevevano come regalo un pacchetto di gomme da masticare, o un invito a giocare una partita di pallavolo o pallacanestro; una felicità che negli occhi dei bambini italiani appare, e forse nemmeno in quel momento, quando il papà gli compra l’ennesimo oggetto tecnologico ipercostoso.
Ecco, la cosa che più mi ha segnato è stata proprio l’estrema semplicità di quei bambini, che nulla chiedono più di un po’ d’affetto e di calore umano.
Il lavoro di ASA e dei volontari in generale che sono presenti sul territorio ecuadoriano è indispensabile, soprattutto per la sopravvivenza degli strati più bassi della popolazione.
Togliere i bambini da situazioni familiari orribili e salvarli da una vita di strada che li condurrebbe tra le braccia sempre spalancate delle bande criminali, prendersi cura di bambini, ragazzi e anziani abbandonati o affetti da gravi handicap, aiutare le famiglie ad avere i medicinali per curare i propri figli e familiari, aiutare bambini e ragazzi ad uscire dal tunnel della droga e a ricostruirsi una vita grazie a corsi scolastici mirati; questo è l’ammirevole lavoro dei volontari a cui ho assistito viaggiando tra la Sierra e la Costa e di cui ognuno dovrebbe fare, almeno una volta nella vita, un’esperienza diretta.
Sarà pure una frase trita e ritrita, e qualcuno potrebbe tacciarla di demagogia, ma vedendo le condizioni in cui versano gli strati più bassi della popolazione ecuadoriana, tutti inizierebbero ad apprezzare veramente ciò che hanno qui in Italia, ritroverebbero la felicità nelle piccole cose e magari inizierebbero ad aiutare il prossimo in maniera concreta.
Luca Boscolo Camiletto, di Sottomarina (VE), in Ecuador ospite dei missionari per raccogliere materiale per la tesi di Laurea Specialistica in Storia Moderna e Contemporanea su José María Velasco Ibarra.
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