Marco Pulze

Torna indietro

"Me la racconti una storia?"

Immaginati di trovarti a 10000 km di distanza da casa, in un paese che non conosci, in cui si parla una lingua che un po' mastichi ma che non è certo la tua. Immaginati di trovarti in una scuola dell'infanzia dove ti hanno portato per dare una mano a dipingere le pareti dell'edificio e che i bimbi dell'asilo ti circondino per vedere cosa stai disegnando, e quando capiscono che sono i personaggi delle fiabe ti chiedono: "Me la racconti una storia?".

I bambini sono belli perché sono spontanei, e sono così in tutte le parti del mondo. A loro non interessa il tuo colore della pelle, né come parli o quello che fai. L'importante è che ci sei.

Niña Maria è il CDI (Centro di sviluppo infantile), nel quartiere Cotocollao di Quito, nel quale ho prestato servizio come volontario per un mese. Oltre a dilettarmi con i colori a muro ho avuto anche modo di conoscere la realtà delle scuole in Ecuador. Per anni, sono stato educatore dell'AC in parrocchia a Sant'Anna di Piove di Sacco (PD), dove abito, perciò avevo un po' di esperienza con i bambini e con qualche metodo educativo. A Quito, però, la mia posizione è stata diversa: aiutavo le maestre. Non dovevo, quindi, né preparare né gestire attività. Bastava esserci e dare una mano dove serviva.
È stato bello potersi confrontare con questa realtà. Le maestre della scuola erano tutte giovanissime e molto curiose. Quasi sempre, dopo avermi chiesto quanti anni ho, si stupivano del fatto che un uomo di 25 anni non fosse ancora sposato. Ai bambini dell’asilo, invece, interessava sapere il nome dei miei figli e puntualmente li deludevo dicendo loro che non ne ho.

La storia che racconto comincia nel settembre del 2008. Ho deciso di partire con il progetto Spondylus perché avevo voglia di conoscere una parte del mondo diversa dalla mia. Avevo voglia di vedere con i miei occhi una realtà a me sconosciuta. Avevo voglia di ascoltare con le mie orecchie storie lontane. Insomma, ero curioso di vivere in maniera diversa, prendendosi i giusti tempi per sé, lontano dalla frenesia europea...

Oltre a lavorare nel CDI, ho potuto toccare con mano la realtà di ASA e la gente che ci lavora. Ho avuto il piacere di conoscere la dolcezza di Nancy e la sua pazienza con me e gli altri volontari stranieri, l’allegria di Anita che mi correggeva lo spagnolo ("Tu hablas itañol…" mi diceva), l’esplosiva famiglia Pellichero (missionari laici fidei donum), il sorriso di Olga e la "pazzia" di Babe. Per non parlare della straordinaria umanità delle persone che ho incontrato a Carcelen Bajo. Ho legato molto anche con gli altri volontari (italiani e francesi) con cui ho condiviso la casa. Ho potuto, insomma, confrontarmi con un ambiente aperto alle relazioni con l’altro, nel quale ti senti accolto e puoi sperimentare il bello del condividere.








Sono capitato in Ecuador in un periodo storico importante: il presidente Correa proponeva di cambiare l’intera costituzione del paese, rivedendone tutti i 444 articoli con l’obiettivo di rendere più vivibile la condizione di vita degli ecuatoriani attraverso un maggior rispetto dei diritti umani.
Una scelta coraggiosa, che prevedeva un radicale cambiamento nella base della politica del paese. Per questo il 28 settembre 2008, i cittadini erano chiamati alle urne per decidere con un referendum se adottare la nuova costituzione (SI) o continuare con la vecchia (NO). Ha vinto il SI, voto per cui anche ASA si è battuta.
Nei giorni precedenti al referendum c’era grande fermento per le strade e nelle case degli ecuatoriani. La politica per loro è motivo di confronto, di scambio di opinioni. Tutti conoscono come stanno le cose, anche i bambini (se potessero voterebbero anche loro) la politica è parte della vita sociale e se ne parla sempre. Forse perché è molto concreta e vicina alla gente.

Bisogna dire, in ogni caso, che l’Ecuador è una terra straordinaria anche dal punto di vista naturalistico. Nei weekend, infatti, avevo modo di spostarmi nel paese alla scoperta del territorio. Ho goduto della maestosità delle Ande, ho contemplato la forza dell’Oceano Pacifico, ho assaporato l’imprevedibilità della selva. Ma ho anche potuto osservare il colore dei mercati, ammirare animali insoliti e gustare la grande varietà di frutti che l’Ecuador offre.

La maggior parte del tempo, però, l’ho passata a Quito, nel quartiere di Carcelen Bajo dove ogni mattino, ogni pomeriggio e ogni sera ho potuto raccogliere con la mente e con il cuore un po’ di "immagini" di giornate vissute, di istanti colti:

Quito
Un gruppo di nuvole copre il cielo ogni pomeriggio e si rovescia sulla città e sui campi circostanti ma la gente continua la propria attività, incurante del clima: la pioggia rinfresca e nutre la terra e le strade si asciugano presto.
La signora dal gorro andino cammina sull'asfalto ingobbita sotto il peso dei sacchi che tiene sulla schiena. Attraversa la strada una mamma tenendo per mano tre bambini. Un cane zampetta tra la gente in cerca di qualcosa da mangiare. Passa veloce un bus con dentro molte più persone di quelle che potrebbe portare e lasciandosi alle spalle uno sporco fumo nero puzzolente che si dissolve nell'aria. Dentro il cassone di un pick-up viaggiano, in mezzo alle banane, cinque o sei persone. Una donna va dal vicino semplicemente per salutarlo. Due galline cercano qualche verme sulla aiuola di una strada secondaria. Dalla televisione di un bar della città si sente: "GOOOOOOOOOOOOOOOOOL" indipendentemente dalla squadra che segna. La signora della frutta continua ad urlare cercando di convincere la gente a comprare i suoi buonissimi mandarini a un dollaro al sacco. I bambini giocano per strada.


Marco Pulze

Torna su