Sara Abati ed Emanuele Vivori

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"… un ponte lascia passare le persone un ponte collega i modi di pensare un ponte chiedo solamente un ponte per andare andare andare …"

Il nostro viaggio in Ecuador fisicamente è iniziato il 14 agosto 2015 all’1 di notte, non appena abbiamo messo piede all’aeroporto di Guayaquil, direzione Duran, ma spiritualmente era iniziato un bel po’ di tempo prima, ovvero da quando abbiamo iniziato a sentire i racconti di amici che hanno viaggiato in questa terra, chi per poche settimane, chi per sei mesi o addirittura per più di una volta. Ne siamo rimasti impressionati sin da subito e non ci siamo lasciati sfuggire l’occasione di iniziare nell’altro capo del mondo i primi passi della nostra nuova famiglia. Già, perché il viaggio in Ecuador è così diventato la meta del nostro viaggio di nozze, la scelta di condividere un’esperienza con amici missionari.
Siamo partiti con i soli biglietti aerei di andata/ritorno, senza aspettative, senza programmi e con la sola voglia di osservare e lasciarsi stupire dalle persone e dai paesaggi che avremmo incontrato, dalla misteriosa foresta amazzonica, al silenzioso paramo andino, alle bianche spiagge coralline. Abbiamo sin da subito sperimentato l’autenticità di un sorriso e di un abbraccio, dell’aprire la porta della propria casa e dell’accogliere lo straniero come un fratello. Gesti che hanno suscitato in noi la nostalgia della libertà di un mondo in cui assumono valore le relazioni umane ed il contatto con la natura, in contrapposizione al nostro modo di vivere, dominato dal possesso delle cose e in cui il lavoro, talvolta frenetico, detta i tempi della vita.
Siamo rimasti colpiti dagli sguardi talvolta cupi, ma profondi, delle persone, dalle righe sul loro volto, dalle mani nere e callose, dalla grande forza di volontà.
Abbiamo condiviso la profondità di una fede vissuta tra la gente e non nelle cattedrali, sentendoci Chiesa, parte di un tutto più grande di noi. Abbiamo, infatti, celebrato la messa lungo un fiume, in una scuola e in un piccola cappella, percorrendo strade sterrate e attraversando paludi e risaie, con il vento mescolato alla terra sul volto e tra i capelli. Un po’ come se terra e cielo, umano e divino, si fossero intrecciati nelle nostre vite.
L’Ecuador che ci portiamo nel cuore è un Paese essenziale, non povero, dove sicuramente molto c’è da fare, ma che soprattutto ha molto da donare.
Abbiamo trascorso laggiù tre settimane e, al nostro ritorno a casa, la sensazione è stata quella di averci lasciato una bella fetta del nostro cuore. Siamo tornati cambiati nel profondo, avendo imparato a relativizzare i pensieri: quelli che ci sembravano problemi insormontabili, ora sappiamo che non lo sono più, perché ciò che conta nella vita sono un pezzo di pane (o un poco di riso!) e qualcuno che ti vuole bene.
Siamo profondamente grati a padre Mauro per averci offerto la possibilità di condividere la quotidianità ecuadoriana, entrando in contatto con le realtà del FEPP e di Salinas de Guaranda, a padre Giampaolo per averci accompagnati per le strade dell’Arbolito e per averci portati a fare chiesa con le comunità che vivono nei recintos, a contatto con la natura, a padre Daniele per essersi preso cura di noi quando la salute non ci ha assistito, a Cristina per il sorriso contagioso e per le buonissime empanadas, a Damiano e Mayra per averci aperto le porte della loro casa, a Simone e Federica per aver condiviso con noi il nostro viaggio di nozze e per continuare ad accompagnarci nella quotidianità.
È come se avessimo dovuto vivere nell’altra parte del mondo per comprendere profondamente di quante benedizioni Dio ricolma la nostra vita, ogni giorno …

"… io spero che esista anche un Dio delle piccole cose che sappia i silenzi mai diventati parole che sappia i gradini di pietra e le estati scoscese …"

Sara ed Emanuele di Padova